Il cibo è un diritto?
Probabilmente ponendo questa domanda, la maggior parte delle persone risponderebbe che sì, il cibo è uno dei diritti dell’uomo e dell’umanità. Hanno diritto al cibo bianchi e neri, gialli e rossi, alti e bassi, sicuramente i magri e in parte anche i grassi, i sani e soprattutto i malati, giovani ed anziani, ricchi ma soprattutto poveri.
Il cibo è quindi nell’immaginario comune un diritto acquisito, uno dei pilastri da cui è impossibile trascendere . Pensate solo di uscire dall’ufficio e andando nel negozio di vostra fiducia trovare un bel cartello con scritto:
La pasta quest’anno non sarà disponibile per calamità climatica.
Farina di mais terminata, aspettate il raccolto del prossimo anno.
Latte esaurito causa carenza di fieno.
Impensabile, vero?
Oltre a sostentamento, piacere, ricordo, conforto e molto altro, il cibo e la sua mistica ma ben definita sacralità, nella nostra società si è tramutato in un diritto intoccabile.
Sì, si è tramutata perché un tempo non lo era, non era dato per assodato che si mangiasse oggi e soprattutto l’indomani. Meteo, fattori ambientali, predoni, specie deboli e poco redditizie, infestazioni e malattie mettevano (quasi) ogni giorno a rischio il pane ed il companatico sicuramente per i poveri talvolta anche per i ricchi.
Ad un certo punto si decise che quest’incertezza toglieva il sonno a troppi e l’impossibilità di garantire continuità ed un futuro non permetteva alla società di evolversi, quindi si optò per il diritto al cibo.
L’agricoltura divenne meccanizzata e monitorata dalle sementi, spesso prodotte in laboratorio (O.G.M.), alla raccolta, le vacche da libere e scodinzolanti vennero messe all’ingrasso per garantire velocità e risultati costanti, i pesci da pescati si tramutarono in allevati.
Tutto centralizzato, controllato, meccanizzato, sterilizzato, ottimizzato e soprattutto performante.
Il 98% della popolazione mondiale demanda alla restante parte la produzione di tutto intanto che questa cresce, ingrassa, dimagrisce in palestra e lavora.
Niente di nuovo, qualcuno dirà, cosa cavolo si è messo a scrivere questo e soprattutto dove vuole arrivare?
In questi giorni riflettevo su quanti in quest’ultimi tempi si sono schierati in modo fermo e deciso nei confronti di tutto questo, nei confronti di chi alleva, coltiva, pesca in modo che non può essere certo definito etico e non appartiene all’immaginario “romantico” del contadino immerso in una natura amorevole ed amata ma che sicuramente garantisce a tutti un pasto più o meno sano ogni giorno, garantisce quel diritto intoccabile di cui sopra.
Il modello recriminato non può essere in alcun modo confrontato con i modelli di sessant’anni fa, nulla ha a che vedere con realtà passate dove esisteva una sorta di auto-produzione familiare diffusa capillarmente.
Mi sono appassionato a questo movimento contro il cibo industriale ed industrializzato, questo movimento che urla e a gran voce denuncia il cibo troppo costoso, ho ascoltato coloro che fortemente si sono opposti ad OGM, catene di fastfood e allevamenti lager, tutti coloro che esigono qualità e prezzi (a loro dire) equi, ho condiviso temi e riflessioni ma allo stesso tempo sono rimasto con un dubbio:
Quanti rinuncerebbero al loro diritto al cibo? Quanti realmente sostengono piccoli produttori? Quanti sono disposti e hanno disponibilità a pagare un prodotto base come pasta, riso, legumi e proteine animali il 40% o 50% in più, garantendo così coltivazioni ed allevamenti di specie perse perché meno produttive o meno controllabili?
Quanti sanno realmente come funziona minimamente la fase produttiva di questo o quel prodotto? Quanti sanno come si ottiene veramente la certificazione BIO? Quanti in nome dello loro dire no, sarebbero disposti a rinunciare al loro pasto quotidiano?
Il cibo è un diritto?
nessun commento