Non so quanti ci abbiano fatto caso ma la città dell’Expo è tutto un cantiere.
Non mi riferisco al polo fieristico in cui si tirano su padiglioni e sculture un giorno si e un giorno pure (noncuranti di tutti i rallentamenti, gli intoppi, le infiltrazioni e soprattutto gli onnipresenti “Semprecontro”) ma mi riferisco al boom improvviso di aperture che ha investito la ristorazione in ogni sua forma.
C’è chi si lancia in una nuova avventura e chi cambia abito cercando di acquistare un gusto più internazionale e contemporaneo.
Quello che ricorda gli anni ’60, ’70 ed ’80 non tira più, la gente vuole un vecchio nuovo: il vintage.
Ogni due vetrine ve n’è una in ristrutturazione ed un’altra aperta da meno di sei mesi; dove prima c’era un rivenditore di cartucce per stampanti ora c’è il friggitore di robiole o la miglior burgeria della città .
Locali dal dubbio gusto hanno fiutato l’opportunità ed hanno colto l’occasione dell’esposizione universale per rifarsi il look e arrivare “pronti” all’evento. Gli stessi locali e localari che “l’altro ieri” erano in dubbio se vendere o chiudere visto il momento di magra dovuto alla crisi (secondo loro) e non alla loro risicata e risibile offerta, eccoli stravolgere il loro aspetto ammiccando a quel gusto un po’ nordico che fa finta di essere un po’ sciatto e trasandato, dove l’intonaco scompare per lasciare aria e luce a mattoni rossi e legno fintamente grezzo.
Come all’inizio del tramonto dell’Impero romano calarono i barbari sulla città eterna, oggi tanti accerchiano la lucente Madonnina nella speranza di far fortuna.
Approdano gli chef più blasonati da tutta la penisola, arrivano trafelati e sudati per non perdere l’appuntamento della loro vita con il cliente che li rapirà e li porterà nel suo castello per coprirli d’oro, arrivano giovani imprenditori con l’idea giusta che li farà svoltare, arrivano major ed aziende con alto potenziale d’investimento a presenziare sul territorio perchè domani, finito tutto, qualcuno non dica: “E quelli dov’erano?”.
Arrivano gli anziani a raccontare quello che: “Ai miei tempi si faceva così” , gli integralisti che di certo non voglio assolutamente disattendere le aspettative di crudisti, vegani, biodinamici, fruttariani, mangia aria che arriveranno. Arrivano i figli con le madri, i nipoti con le nonne, i figli di, i vincitori e vinti di talent di cucina, arrivano i bravi ed i falliti già sulla carta.
Arrivano tutti. Tutti con la loro idea, il loro entusiasmo, i loro investimenti e soprattutto con tanta voglia di farcela.
Molte imprese edili non riescono nemmeno a fregarsi le mani tanta la mole di lavoro che hanno; come non riescono a fregarsele vetrai, elettricisti, idraulici che sono indaffarati a tirare linee, costruire bagni disabili, spogliatoi per il personale e montare aspiratori ai carboni per cucinare dove non sono presenti canne fumarie (legge dell’ 11-2014).
La città del risotto accende i fuochi e mette su l’acqua in attesa di poter sfamare a colpi di Italian Style l’orda affamata ma qualcuno si potrebbe accorgere che non sa come si accende il fuoco, altri potrebbero trovarsi senza sale, altri ancora potrebbero scoprire che quello che veniva tanto bene nel loro cucinino qui rischia di bruciare facilmente.
Il cibo è il nuovo business, l’affare che potrebbe riaccendere i motori tiepidi del Bel Paese ma per stare nel mercato è richiesta una schiena dritta, idee valide e lucide. Pensare che Expo possa essere la soluzione a tutti i problemi o la gallina dalle uova d’oro credo sia una valutazione approssimativa quanto cretina ma non per questo (credo) le cose debbano andar male a tutti i costi.
La fortuna è di chi se la crea ed in cucina un po’ ne serve, anche se la conoscenza è tutto.
Milano si prepara, almeno ci prova, cerca di assorbire la tanto attesa invasione di visitatori anche se in un angolo buio i “Semprecontro” gufano, sperando che tutto crolli e loro possano dire: “Io lo sapevo.”
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