Mangiare è sinonimo di vita, tutti gli uomini infatti nel corso della propria esistenza entrano in relazione con il cibo ed il suo consumo. Ognuno instaura con il nutrirsi un rapporto intimo e speciale proiettando in questo atto così primitivo e necessario gioie e malesseri, memorie e ferite tanto da trasformare questa attività comune da qualcosa di imprescindibile a qualcosa di metafisico.
Mangiano i ricchi ed i poveri, mangiano i belli ed i brutti, mangiano i sani e gli ammalati, mangiano le persone alte e quelle basse, quelle magre e quelle grasse, i mancini ed i destrorsi, i biondi ed i bruni, gli onesti ed i disonesti, gli atei ed i devoti.
Mangiano tutti.
Mangiamo tutti ma ogni tavola è differente, ogni frigorifero (quando c’è) contiene cose diverse, ogni piatto, ricetta, pietanza acquista una sua identità nella cucina in cui viene preparata. C’è chi compra solo prodotti economici e chi solo prodotti di marca, per non parlare di chi sceglie prodotti biologici o biodinamici, chi tende a cucinare un po’ meno per non rischiare di sprecare e chi “sta abbondante” perché non si sa mai.
Ognuno nella propria “tana” adotta uno stile ed un gusto personale che spesso ripropone nelle sue scelte in situazioni conviviali come ristoranti e cene allargate – ma esiste un’eccezione, una situazione dove tutti diventano uguali, dove non esistono differenze di classe o estrazione sociale, dove tutti diventano pari: questo è il buffet.
Davanti ad un buffet si perdono le inibizioni, cadono le regole del bon ton e la maschera del “sono a dieta”. Con pile di piatti e camerieri a disposizione si perde il conto delle pietanze assaggiate.
Ecco quindi accostare catalane di gamberi a pappardelle alla cacciatora, cozze gratinate e fumante rosticciana non prima di aver composto spiedini multipli di mozzarelle di bufala ed ingurgitato coni di fritto misto e focacce insalumate.
Si mischia, si abbonda, ci si riempie e si riempie ancora. I piatti assumono le sembianze di piramidi acuminate, una base larga accoglie chili e chili di cibo ammonticchiato in modo disordinato e senza senso.
Che il buffet poggi su una tovaglia di fiandra, contornata da un servizio in guanti bianchi e pesanti posate inglesi in argento o che questo sia allestito sulla nuda tavola con teglie in alluminio usa e getta e bottiglie di spuma sottomarca poco cambia, per gli ospiti esiste una sola regola: strafogarsi.
Solitamente ci si trova davanti ad una serie di proposte gastronomiche e nell’incapacità di prendere una decisione tre una lasagna ed un risotto alla pescatora si opta per l’assaggio multiplo; scelta che si ripercuote a catena su ogni portata. In situazioni normali, alcuni degli stessi pizzicati a far man bassa inorridirebbero davanti a quelle quantità e quegli accostamenti ma non davanti ad un buffet.
Non so cosa scatti nella testa delle persone, non so cosa li spinga ad (ab)buffarsi in quel modo, probabilmente il connubio cibo gratis e accesso libero e continuo al rifocillarsi sviluppa un senso di fame che va ben oltre il semplice saziarsi e sconfina nell’istinto di dominio sull’altro fino a scatenare un senso di predominio e quindi di sopravvivenza.
Il nostro atteggiamento al cospetto di un buffet è simbolo di un umanità affamata che fatica a trattenersi davanti alla promiscua offerta e indecisa sulla scelta cala la maschera e si strafoga.
1 commento
E Bruno Vespa quasi in tutte le foto.