È da alcuni mesi che osservo, con sempre più interesse, la trasformazione che sta avvenendo nella grande distribuzione.
Un occhio poco attento potrebbe considerare questo cambiamento come qualcosa di repentino o affrettato ma basta contestualizzare ciò che da un po’ di tempo succede al di fuori dei supermercati per capire che più che una rivoluzione, quella che stiamo vivendo, è un passaggio obbligato.
Passaggio che questa volta non nasce spontaneamente dalla fervida mente degli imprenditori ma da una richiesta del pubblico maturato e più esigente.
Il consumatore muta e non seguire la sua trasformazione può diventare pericoloso, soprattutto per chi da costui trae quotidiano profitto.
È cambiato il cibo, il rapporto con esso e l’idea che si ha di questo, insomma è cambiato tutto.
Il consumatore da semplice raccoglitore di scatole e scatolette è diventato un selezionatore.
Nulla è lasciato al caso, niente è dato per scontato; si sceglie la marca di pasta x per le sue caratteristiche di cottura, per la sua ruvidità o perché la usa uno chef stimato; si sceglie un uovo di tipologia 0 perché si sa leggere “la targa” delle uova ed il primo numero di questa dice molto a proposito.
Non parliamo poi di burro, zucchero e farina: il consumatore ora sa che non ce n’è un solo tipo e addirittura sa quando scegliere uno e quando preferire l’altro.
Il tanto amato “prodotto imballato” degli anni ’70/’80, ora pare obsoleto oltre che uno spreco di plastica da smaltire.
Chi compra vuole tastare, vuole odorare ma soprattutto vuole scegliere; davanti ad una catasta di zucchine, armati di sacchetti bio degradabili, si selezionano le migliori cercando di sottrarle il più velocemente possibile dalla cesta a qualche “manolesta” .
Ecco allora identificare ogni cosa, ogni prodotto; con l’intento di rendere più umano e più autentico si attribuiscono cognomi a mortadelle, pelati e farine…
“Per questa cena ho scelto un salame dei fratelli Baldambembo, una pasta trafilata all’oro delle sorelle Casamatti, un formaggio di alta langa del carissimo Beppino Belli ed in fine il panettone con farina Saputo, lievito madre di Pocci e canditi Frescocotti della pasticceria Ricci.”
Il cibo si è fatto importante e per questo si cerca di identificarlo al massimo per lasciar poco spazio a gli indugi ed a gli errori.
Questo nuovo trend ha ridimensionato moltissimo tutta la questione del biologico, del biodinamico e del kilometro zero. Questi tre “valori” hanno perso molti punti negli ultimi anni, un po’ per alcuni scandali burocratici e gestionali, un po’ per i risultati insoddisfacenti dei prodotti ottenuti con queste tecniche ma soprattutto perché si è riusciti a comprendere che chi lavora bene, dando vita a grandi prodotti, spesso non possiede la certificazione biologica non per negligenza ma per questione di costi.
Si dà valore al gusto, alla storia ed al produttore. Il cibo deve essere speciale, caratteristico, si deve differenziare e deve trasmettere il senso della ricerca del consumatore.
Scelgo quindi sono!
Ecco quindi la trasformazione, il supermercato da algido ed incellophanato torna a dimensione umana, si torna a dare importanza al rapporto umano, al calore, alla fiducia.
Ci si affida come con ad un bottegaio, si ascoltano i consigli e ci si nutre con la storia del cibo.
3 commenti
direi che era ora che si iniziasse questo cammino gastronomico consapevole … io oramai vado al supermercato per comprare il detersivo o la carta igienica o poco di più, preferisco i negozi o il mercato rionale
Siamo in due Marta!!
Questo post è una bella e vera fotografia di quello che sta succedendo nella GDO. Non è una caso che molti di loro cominciano ad inserire anche prodotti locali, da sempre snobbati ad esempio. Il futuro spero sia in un consumatore sempre piú consapevole.