Se qualcuno riassumesse la nostra cucina in una sola preparazione tralasciando un’ enormità di ricette, sapori e prodotti potremmo risentirci.
Un solo piatto difficilmente identifica e rappresenta in modo esaustivo quella che può essere una cultura millenaria fatta di tradizioni e sfumature.
In occidente, ma principalmente in Italia, il Giappone da una ventina d’anni è stato rappresentato principalmente dal sushi che, importato da qualche lungimirante imprenditore, ha attecchito prima nell’esterofila città della moda per poi diffondersi capillarmente in tutto lo stivale contagiando e contaminando preparazioni nazionali e dando vita a discutibili esperimenti di Italian Sushi.
Mangiare giapponese – quasi sempre – è sinonimo di pesce crudo, riso acidulato e rafano a cui è anche possibile aggiungere, in un senso più ampio, una leggera frittura in pastella (tempura) e zuppa di soia fermentata servita di default. Poco altro.
Basta sfogliare un libro o volare per una decina abbondante di ore per capire che oltre al “noto” c’è un’infinità di piatti e preparazioni che necessitano di tecniche e attrezzature specifiche e speciali. Il Giappone ama il cibo in modo viscerale, qui si cerca di mantenere e salvaguardare i classici ma allo stesso tempo si azzarda e ci si spinge verso l’ignoto.
La cucina Giapponese ricerca in modo ossessivo “la vita” e cerca di cogliere energia da ogni dove assaporando la linfa vitale di ogni essere senza stravolgere il sapore reale delle cose, lavorandole poco e trattandole con la tecnica più adatta.
1 commento
Tra le meglio cose che ho mangiato in giappone:
-le frittelle di polpo
-i dolcetti (tipo wafer morbido) ripieni di yokan
-i mochi ripieni di qualsiasi cosa.
Mio marito cita l’Hida Beef, ma io che sono simpatizzante veg non amo.
Comunque: siamo tornati entrambi con diversi chili in più, alla faccia delle mini porzioni kaiseki (e grazie a un sostazionso contrinuto dell’amico Kirin) 🙂