Vorrei proporti di vivere assieme a me un’esperienza straordinaria, un rito che si ripete da secoli e che chi – come te che stai leggendo queste parole – ama la tavola, il convivio e la gastronomia non dovrebbe perdersi. Il cibo – quotidianamente – riesce a raccontare, simboleggiare e nutrire come poche altre attività riescono a fare in modo così preciso e puntuale; in una forma di pane o in un piatto di ceci sono racchiusi e codificati abitudini, costumi e tanta storia allo stesso tempo .
Nell’incantevole cornice del Salento, nei paesini attorno Lecce (Minervino, Giurdignano…) per la festa di San Giuseppe (19 marzo) si ripete ogni anno un rito affascinante che nel cibo ma soprattutto nella tavola affonda le proprie radici.
In una ventina di case, la sera prima della festa,vengono apparecchiate tavole splendide simili per le pietanze proposte, uniche nei dettagli e nelle ambientazioni. Su ogni tavola vengono apparecchiati sette o tredici coperti destinati ai santi . Le tavole sono umili e ricche allo stesso tempo, la simmetria è ricercata con grande cura creando colpi d’occhio e prospettive stupefacenti. Il cibo in tavola è semplice ma incarna e racconta un territorio ricco e un popolo capace di trarre il meglio sia dalla terra che dal mare.
Lampascioni
Stoccafisso (Lofoten)
Ceci
Cime di rapa
Pesce fritto
Pettole
La massa (antesignana della famosa Ciceri e tria)
Bucatini al miele e pangrattato,
grosse forme di pane benedette ed infine il dolce .
La gente peregrina di casa in casa, visitando le tavole e raccogliendosi in preghiera insieme ai padroni di casa e ad altri avventori . Le signore offrono piccoli assaggi e pani benedetti lasciando però intonse le tavole, destinate ai santi. Vivere tutto questo è veramente suggestivo e affascinante ma tutto viene reso unico e indimenticabile quando si scorge dietro ad una porta, attigua alle sacre tavole, una tavolata maschile intenta a banchettare con i piatti tipici della festa. L’accesso è riservato a pochi e poterci accedere: un onore.
Simboli, tradizioni, ricordi e sapori che si imprimono nella memoria tracciando un lungo solco a ritroso nella storia dell’uomo raccontando e simboleggiando con semola ed acqua l’umanità e la sua complessa bellezza.
Il rito da qualche anno è uscito dalle case e viene riproposto anche in piazza dove la comunità si incontra e continua a vivere questa antica tradizione. Un’ affiatata brigata di donne si riunisce e per giorni interi prepara lo stesso cibo proposto sulle tavole domestiche ma in quantità decisamente abbondanti per accontentare e sfamare tutti.
L’accesso alla preparazione è “blindato” ma ho voluto assistere ad ogni costo, ho voluto vedere e soprattutto parlare con queste donne che ogni anno ricreano la magia che fin da piccole hanno vissuto e respirato e che le spinge a giornate di duro lavoro. Insieme si spartiscono compiti e mansioni in base all’esperienza e alle inclinazioni e felici collaborano spiagnattando e stendendo la massa. L’unico rammarico che manifestano è lo scarsa presenza ed interesse delle giovani leve, sorridono col timore che un giorno tutto questo possa finire.
4 commenti
Ho letto tempo fa che la tradizione è passato con un po’ di futuro. Per questo la speranza è che non muoia.
Speriamo Lucia!
I ❤️ Panbagnato
Grazie Irene, faccio del mio meglio.