Osservare le abitudini alimentari, capire le scelte che spingono le persone a consumare questo o quel prodotto è una pratica che mi appassiona moltissimo.
Inconsciamente dietro le nostre “ordinazioni” si nasconde un vero e proprio mondo fatto di ricordi, desideri e proiezioni.
Lo si può fare in diverse occasioni, durante la spesa in primis anche se in questo caso non si ha la certezza che chi effettua l’acquisto corrisponda poi con il fruitore finale del prodotto.
Un altro spunto d’osservazione interessante lo offrono i titoli dei libri che si leggono in merito all’argomento cibo/alimentazione, dal ricettario televisivo, al saggio culinario passando per innumerevoli sfaccettature gastronomiche ma dove si riesce capire meglio è sicuramente la tavola.
Al ristorante o a casa il cibo scelto, il modo in cui lo si mangia e il modo in cui si tengono le posate raccontano molto più di quanto si possa credere.
Apicio era innanzitutto un gourmet e nel suo manuale ha raccontato le ricette più in voga nella Roma golosona, preparazioni difficilmente riproducibili per difficoltà nel reperire un ingrediente che sembra accomunare quasi tutte le preparazioni: il garum.
Il garum è una salsa liquida di interiora di pesce e pesce salato che gli antichi Romani aggiungevano come condimento a molti primi piatti e secondi piatti. Il vocabolo è di etimologia incerta. Per altro, salse simili erano già usate precedentemente dai greci. Una ipotesi quindi è che derivi dal nome greco garos o garnon (γάρον), che era il nome del pesce i cui intestini venivano usati originariamente nella produzione dei condimenti.
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